Commenti delle principali testate giornalistiche Il trionfo della volontà. Il Napoli ha vinto come fanno le grandi Editoriale di Stefano Barigelli (Gazzetta.it): C'è molto di Conte in questo scudetto, ma anche De Laurentiis ha saputo lasciare la scena al suo allenatore.
Com’è dolce stanotte la primavera a Napoli. Lo scudetto più bello è quello che vinci così: all’ultima giornata, scucendolo dalle maglie della squadra strafavorita, dopo un testa a testa bellissimo, dandole perfino, nella giornata finale, l’illusione di vincerlo. Il Napoli ha conquistato questo campionato perché l’ha testardamente voluto. C’è riuscito con la tigna delle grandi squadre, di volontà, fregandosene della bellezza quando non era necessaria per vincere. Non ha mai mollato nei momenti di bassa condizione fisica, non ha mai ceduto anche quando l’Inter è passata davanti e sembrava potesse allungare.
Quanto c’è di Conte in questo scudetto? Molto. Si è rivelato l’allenatore giusto per una stagione senza coppe, con pochi cambi e con un Napoli a cui è stato tolto a gennaio Kvaratskhelia, sostituito da Okafor, che è come dire non sostituito. Conte è stato il valore aggiunto determinante, quanto lo fu nel primo scudetto alla Juve. Anzi, rispetto a quello si è dimostrato ancora più determinante. Lui ha voluto, oltre a Lukaku, anche McTominay, il miglior centrocampista del campionato, il simbolo di questo Napoli concreto e continuo. Un ragazzone scozzese, bravissimo in qualsiasi fase della partita, che solo un club scellerato come è l’attuale Manchester United poteva far partire con tanta leggerezza.
Da tecnico credo sia stato il campionato migliore di Conte: per capacità di gestione, di adattamento alle situazioni che cambiavano, agli avversari, agli infortuni. Mantenendo sempre il personale carattere distintivo: una feroce vocazione al successo. Sarà pure ossessivo come dicono, logorerà pure i rapporti all’interno del club in cui lavora, ma è il più bravo, con Allegri, a navigare nel difficilissimo mare che è il campionato italiano. Il merito di De Laurentiis è averlo capito. E di aver imparato dagli errori commessi nella stagione precedente. Non è poco. È stato ai patti presi all’inizio, si è smaterializzato, che per uno come lui è il massimo del sacrificio, lasciando tutta la scena al proprio allenatore. È possibile che le strade di Conte e De Laurentiis si separino: se anche dovesse succedere il Napoli resta una grande realtà del calcio europeo. Un club solido, con i bilanci in ordine, un pubblico fantastico e prospettive tecniche eccellenti. Ha avuto grandi allenatori e continuerà ad averne. De Laurentiis è un uomo di spettacolo, porta un cognome che quando lo pronunci a Hollywood si alzano in piedi e si tolgono il cappello. Per questo film aveva bisogno di un regista così. Ci saranno altri film e altri registi. Lo scudetto di Spalletti è stato un capolavoro spettacolare con modernissimi effetti speciali, questo di Conte un bellissimo film neorealista italiano da Oscar.
L’Inter ha buttato lo scudetto più o meno come aveva fatto con il Milan, tre anni fa. Ma c’è una differenza enorme rispetto al 2022: all’orizzonte c’è una finale di Champions giocabile, oltreché da giocare. Il Psg è una bellissima squadra guidata da un grande uomo, ma non è il City di allora. Vincerla per l’Inter farebbe tutta la differenza del mondo, cancellerebbe il rammarico per lo scudetto sacrificato e perso. Disputare due finali di Champions in tre anni è un risultato straordinario, merito dell’Inter e soprattutto di Inzaghi. L’errore che si può dire sia stato commesso a prescindere dal risultato del 31 maggio a Monaco è che sia stata sopravvalutata di molto la rosa nerazzurra: è di qualità ma non abbastanza per battagliare su tre fronti, pensando di vincere su tutti e tre. Età media troppo alta e in attacco una pochezza dei cambi avvilente. Lautaro e Thuram sono stati spremuti oltre il consentito per un club che vuole vincere la Champions e il campionato italiano. A questi livelli non ci può essere uno scarto abissale come c’è all’Inter tra le punte titolari e i potenziali sostituti. Lautaro è uno degli attaccanti più forti al mondo: deve essere tutelato, non massacrato di minuti. Al dato anagrafico va poi aggiunta la propensione di Inzaghi a tenere una formazione titolare standard finché possibile. Ma, come detto, l’Inter ha l’occasione di conquistare la Champions, il trofeo più importante. Ogni anno una squadra italiana vince lo scudetto, ma la Champions no: è stata italiana dodici volte appena, l’ultima quindici anni fa. Un’eternità. NAPOLI, così è nato il capolavoro di Conte e De Laurentiis
Gazzetta.it (Antonio Giordano) Due anni dopo l'impresa di Spalletti è di nuovo festa. Il settennato di Maradona sembrava irriproducibile e invece...
Il sole a mezzanotte: perché adesso che è finita e non c’è altro da temere, nel cielo buio di Napoli ci sono luci che illuminano. È il quarto scudetto, il secondo in tre campionati, e ci sono voluti appena 750 giorni per passare da una festa all’altra e chiedersi se sia vero oppure se invece sia semplicemente un sogno. C’è un tempo, adesso, che appartiene alla Napoli 3.0, canterebbe Fossati ch’è un tempo vissuto; o, urlerebbe Pino Daniele, Napule 'e mille culure. È la voce di criaturi, dei grandi e dei piccini, che sale piano piano, perché pure ora, come nel 2023, nessuno avrebbe mai sperato che accadesse qualcosa del genere, una specie di miracolo dentro una città che si sta prendendo il campo - anche quello di regata - e la scena, che si riprende lo scudetto e se lo tiene stretto.
Napoli campione - Il Maradona è l’epicentro del trionfo, che ora ha riversato a tutta la città per le strade e nelle piazze, e sta facendo versare alle tante Napoli nel mondo le sue lacrime di gioia. È successo ancora e di nuovo, lo scudetto, ed è la conferma che c’è un club, il Napoli, tornato nella sua dimensione, quella che per 14 anni l’aveva trascinata in Europa.
Mercato virtuoso - L’ha fatto riabilitandosi immediatamente, dopo una stagione disastrosa, andando a prendere un allenatore vincente e capace di ricostruire dalle macerie, spendendo 150 milioni di euro (per McTominay, Lukaku, Neres, Buongiorno, Gilmour...) nell’estate scorsa, osando e recuperandone 75 a gennaio con la cessione di Kvara: piaccia o no, De Laurentiis ha il fiuto per gli affari e vede dove altri non rischiano di lanciare il loro sguardo. Lo scudetto appartiene anche a lui, e ci mancherebbe, il papà di un Napoli che è suo da 21 anni. Poi c’è un allenatore, Conte, che non ha paura di rimettersi in gioco, che ricostruisce dalle macerie, che ama le sfide teoricamente ai limiti dell’impossibile. E c’è una squadra forte, molto forte, è la figlia di un Progetto che soltanto una volta, dopo l’ebbrezza del terzo scudetto, è stata minata da scelte discutibili e rovinose e però con dentro ancora Anguissa e Lobotka, Meret e Di Lorenzo, uno straordinario Rrahmani, Politano e Raspadori, ma anche Simeone e Olivera e Juan Jesus, quelli che c’erano con Spalletti e che non sono riusciti a fronteggiare lo scempio del decimo posto. Ma questo è il passato. Napoli è nel futuro, riscrive la geografia del football, sposta verso il Sud il potere calcistico, unico club ad opporsi a Inter, Milan e Juventus per due volte in questo quarto di secolo, con altri tre scudetti sfiorati davvero (uno con Mazzarri, due con Sarri), con una galleria di personaggi in panchina (Benitez, Ancelotti, Spalletti e Conte) e un’altra di calciatori (quelli che ci sono e quelli che c sono stati) testimonianza di un’idea assai ambiziosa, di scelte coraggiose, di capacità di investimenti e di lungimiranza.
Nella Storia - Napoli è una frontiera nuova, da un bel po’, con anche le sue fragilità, con l’assenza di strutture moderne, con uno stadio che è tormento politico-calcistico, ma con un management che a modo suo sa come si vince e l’ha rifatto ancora, ha aggiunto un altro scudetto, e questo è il quarto, eguagliando il settennato di Maradona che sembrava irriproducibile ed invece sta qua, sotto gli occhi del Mondo. C’è una quarta data che ora s’aggiunge alla storia: dopo il 10 maggio dell’87, dopo il 29 aprile del ‘90, dopo il 4 maggio del 2023, viene tinteggiata d’azzurro questo 23 maggio 2025. È tutto l’oro di Napoli. E non finisce qua. Il sequel di De Laurentiis: come ha cambiato la storia del Napoli
Corriere.it Due scudetti in tre stagioni, Aurelio come Ferlaino ma senza Maradona: tutto sul presidente azzurro
Aurelio De Laurentiis. Il Braccio di Ferro del calcio italiano. Quel rissoso, irascibile, visionario, vincente Aurelio De Laurentiis. Alzi la mano chi, vent’anni fa, quando entrò nel mondo del calcio, avrebbe immaginato la vittoria di due scudetti a Napoli. Nel giro di tre anni (e siamo ancora all’inizio, dice lui). È riduttivo affermare che è entrato nella storia del calcio italiano. La frase più realistica è: ha fatto irruzione e si è messo al centro della scena. E da lì osserva tutti con quello sguardo che parla, che trasuda la frase cult del Marchese del Grillo (“io so io e voi non siete un…”). Ma, come si dice in questi casi, se lo può permettere.
La lungimiranza di De Laurentiis e la legge del bilancio - Aurelio il cinematografaro ha strambato sin dall’esordio, nel 2004, mentre in tanti lo deridevano. Accade quasi sempre a chi ha lo sguardo più lungo. A chi ha la capacità di capire con anni di anticipo quale direzione prenderà il futuro. Non si è mai rassegnato alle consuetudini da prima repubblica del nostro football. Ha squarciato veli ultradecennali e ragnatele ammuffite. Ha rotto da subito col potere ultras che non a caso gli ha dichiarato una guerra infinita. Gli hanno lanciato bombe carta nello stadio, lo hanno costretto alla scorta, lo hanno insultato in ogni modo. E alla fine si sono rassegnati. Nessun privilegio. Stesso comportamento con i calciatori: non ha mai accettato i loro capricci. Ha sempre rifiutato la logica del premio partita, del premio scudetto. «Io ti pago per la tua prestazione, è tutto nel contratto, anche i premi». Ha tolto dalle buste paga persino le bibite consumate nei frigo-bar degli alberghi. Questione di principio più che di soldi. Ma, soprattutto, ha imposto sin da subito la legge del bilancio. Ha capito dal primo momento che in un mondo fortemente politicizzato e cristallizzato qual è il nostro calcio, soltanto la solidità economico-finanziaria avrebbe potuto garantirgli la possibilità di sfidare i grandi club. Non è superfluo ricordare che nel 2004 il Napoli era in Serie C e che Milan, Inter e Juventus erano colossi il cui potere era considerato eterno. Vent’anni dopo, nell’estate del 2024, né Milan né Juventus hanno avuto la solidità e il coraggio finanziario per poter ingaggiare l’allenatore più forte sul mercato: Antonio Conte. De Laurentiis invece ha messo i soldi sul tavolo. Tanti. Tantissimi: 6,5 milioni netti. Ma c’è anche chi dice che si arrivi a nove. Sempre netti. Non solo. Ha investito 150 milioni sul mercato estivo. 150 milioni. Senza incassare niente, perché Osimhen è finito in prestito al Galatasaray (poi a gennaio ha venduto Kvaratskhelia per 75). Nessun club in Italia oggi ha la forza economica, la liquidità del Napoli di De Laurentiis. E parliamo di un imprenditore che è lontano anni luce dai patrimoni personali di Percassi e Commisso, per fare due nomi.
La crescita del Napoli con De Laurentiis - Passo dopo passo (slogan caro ad Antonio Bassolino), ha fatto crescere l’impresa Calcio Napoli. Veniva deriso quando parlava di programmazione decennale. Eppure è filato tutto come aveva previsto lui. Nel primo decennio il Napoli è passato dalla Serie C alla Serie A in pianta stabile e ai piani alti, addirittura con due partecipazioni in Champions. Poi, nel secondo decennio, dal 2014 al 2024 (facciamo anche 2025), ha lavorato sull’irrobustimento del club e sul miglioramento dell’eccellenza. Il Napoli è sempre cresciuto, anno dopo anno, sia sul campo (a livello calcistico) che nei bilanci e nel potere. De Laurentiis è stato un maverick del calcio. Si è imposto da solo. Senza alleanze né carri politici. Del resto è un uomo che non ha minima l’inclinazione alla diplomazia. C’è un abisso con l’esperienza di Ferlaino il cui Napoli era profondamente intrecciato col potere economico e politico, basti pensare al ruolo che ebbero Banco di Napoli e pentapartito nell’affare Maradona. De Laurentiis ha fatto tutto da solo. In un’epoca in cui, uno dopo l’altro, sono caduti tutti i grandi alfieri della scena calcistica nazionale: da Berlusconi a Moratti, senza dimenticare Sensi o anche Della Valle. Loro scivolavano, vendevano, non reggevano. Lui, invece, scalava posizioni, conquistava spazi e visibilità. Applicando semplicemente (si fa per dire) l’abc della gestione d’impresa. Ha guidato la rivoluzione gerarchica del potere del calcio italiano. Napoli, Atalanta, Lazio, adesso Bologna. Le piccole imprese che conquistano Confindustria perché sono più ricche e hanno i bilanci in ordine.
Gli obiettivi futuri del Napoli - Oggi il Napoli è con ogni probabilità il club più potente d’Italia. Potente non nel senso italiano del termine, ossia con la capacità di influenzare. No. Il suo è un potere all’americana. Basato sul cash e non sulla cuginanza o sulle lobby. Il suo Napoli è il club italiano che per distacco ha il maggiore potere d’acquisto. E tra i tanti luoghi comuni che ha sfatato, ci sono anche quelli relativi alle infrastrutture. Il Napoli non ha un centro sportivo propriamente detto. Non ha una struttura giovanile competitiva. E non ha nemmeno lo stadio di proprietà. Forse saranno gli obiettivi del terzo decennio di programmazione. Quel che è certo è che il successo di De Laurentiis è certificato dai tanti tifosi delle squadre avversarie che invidiano ai napoletani il loro presid ente. Ma oggi, dopo due scudetti e tanto altro, anche i napoletani hanno cambiato idea.
Napoli Campione d’Italia, il miracolo di Conte e la consacrazione di De Laurentiis
Corriere.it (Pasquale Salvione) Il quarto scudetto azzurro è un prodigio della società, dell’allenatore e della squadra. Con un grande protagonista, Scott McTominay
Non lo avevano riconosciuto. Per mesi si è aggirato in città, nei quartieri, tra i vicoli, in mezzo alla gente. È passato inosservato, nessuno ha mai immaginato chi fosse. Eppure a Napoli non era arrivato in punta di piedi, i suoi primi passi li aveva fatti al Palazzo Reale. Era un caldo pomeriggio di fine giugno, passerà alla storia come la sua data di nascita. In quel giorno al Teatro di Corte ha visto la luce il prodigio. Sì, proprio lui. Lo scudetto che sta facendo impazzire di gioia milioni di tifosi nel mondo. Tutti quelli che ogni giorno, da ora in poi, avranno un numero 4 da esibire con orgoglio e felicità. Perché hanno avuto la fortuna di assistere a un altro momento indimenticabile, da dedicare magari a chi nella loro vita non c’è più. Il quarto tricolore del Napoli è la vittoria di un’idea, di un progetto, è figlio di lavoro e di programmazione. E di tante scelte giuste. È il simbolo del rinascimento di una città, è il trionfo di un popolo che riassapora il gusto della vittoria dopo soli due anni, come aveva fatto solo nell’epoca di D10S.
Il traguardo di De Laurentiis - Il tricolore è la consacrazione di De Laurentiis, il grande artefice della nuova era azzurra. Il presidente che da oggi potrà dire con orgoglio di aver eguagliato gli scudetti dell’ingegnere Ferlaino, anche senza avere Maradona. Per completare l’opera gli manca solo un trionfo europeo, ma c’è tempo. E soprattutto c’è voglia di crescere ancora, c’è ambizione, c’è lungimiranza. ADL è stato sempre un visionario, un imprenditore stratega. La sua gestione ha portato il Napoli ad essere uno dei club più solidi del panorama internazionale, una medaglia da mettere al petto nell’era del dominio dei fondi. Ha vinto fuori e alla fine ha avuto ragione anche in campo. Ha avuto il grande merito di ammettere i tanti errori fatti dopo l’orribile stagione scorsa, ha azzerato tutto ed è ripartito. Ha scelto il timoniere giusto e ha fatto un passo indietro, poche parole ma tanti fatti. Come un grande dirigente è chiamato a fare. Il risultato è stato eccezionale.
Il miracolo di Conte - Soprattutto perché a guidare la squadra ha scelto il migliore. L’allenatore che ha fatto il più grande capolavoro della sua carriera. Quello che è riuscito a far trionfare una squadra che non era sicuramente la più forte di tutte. Antonio Conte ha vinto lo scudetto della sua personalissima stella, dieci tricolori da giocatore e allenatore. Il sesto trionfo in panchina (compreso uno in Premier), probabilmente il più eccitante. Costruito prendendo una squadra alla deriva, svuotata, che aveva perso la bussola e ogni tipo di orientamento. E soprattutto i due suoi assi: in estate Osimhen, a metà stagione Kvara. Un doppio colpo che poteva mandare al tappeto tutti, non certamente lui. Uno che nelle difficoltà si esalta, uno che quando prende un cazzotto diventa un leone. Ha macinato chilometri e superato gli ostacoli, ha avuto tanti problemi e li ha sempre risolti. È partito con un’idea di squadra, poi l’ha cambiata. Ha smontato e rimontato i pezzi, ha alternato sistemi di gioco, ha trovato sempre la soluzione giusta. Allenamenti duri, estenuanti, ma poi un’altra cilindrata in campo. Come nella sua migliore tradizione. Con lui i giocatori hanno volato, hanno fatto un miracolo. Il miracolo di Sant’Antonio.
McNapoli - Specialmente uno, quello destinato a diventare l’icona del trionfo. Scott McTominay, miglior giocatore del campionato come Kvara due anni fa. Un altro segnale evidente: se in tre anni riesci a comprare due volte un rinforzo che può diventare Mvp, vuol dire che sono le idee giuste a far camminare il mondo. Al suo arrivo in azzurro è legata la sliding door della stagione. L’acquisto di Brescianini saltato dopo le visite mediche, i dirigenti del Napoli sbeffeggiati da chi ignorava l’alternativa segreta, il colpo piazzato da Manna sul quale nessuno avrebbe scommesso un euro. Così è nata la favola di McFratm, il gigante biondo che ha spaccato il mondo. Un impatto devastante, una personalità travolgente, un rullo compressore. Qualità, quantità, assist, gol. La firma sullo scudetto con un gol pazzesco nella notte della festa. Non lo hanno mai visto arrivare. O forse non avevano riconosciuto nemmeno lui. I prodigi sono così, si mimetizzano e poi ti fanno impazzire di gioia. “I campioni dell’Italia siamo noi…”: la festa di Napoli è appena iniziata.
Lo scudetto della stella di Conte: anatomia di un vincente
Corriere.it (Massimiliano Gallo) Ha conquistato il Napoli con il lavoro e l’ambizione: lui ha battuto tutti, anche l’emergenza
Veni vidi vici. Antonio Conte novello Giulio Cesare. L’uomo che vince (quasi) sempre al primo colpo. Il primo allenatore a conquistare lo scudetto con tre squadre diverse: Juventus, Inter e Napoli. Nessuno come lui. Dieci campionati vinti tra campo e panchina. La personalissima stella. È innegabilmente suo il marchio sul quarto scudetto del Napoli. Lo ha vinto nell’unico modo in cui sa vincere: alla maniera di Antonio Conte.
Il carattere di Conte e il rapporto con De Laurentiis - È arrivato col suo carico di conoscenze e personalità. Ha subito imposto sé stesso a una piazza che lo ha sì acclamato sin dal primo momento, lo ha accolto come il salvatore della patria, ma che al tempo stesso ha sempre covato una diffidenza oseremmo dire culturale dal suo Dna juventino. Lui se n’è semplicemente fregato. Sin dal ritiro di Dimaro mise le cose in chiaro, quando rimase fermo al coro “chi non salta juventino è”. Il suo passato non solo non lo ha mai rinnegato, ma ne ha rivendicato l’orgoglio di appartenenza. Farlo a Napoli non è roba da tutti. È roba da uomini, nel senso sciasciano del termine. Ha adottato lo stesso metro in tutto. Ha imposto il suo credo a un tipo non facile come Aurelio Laurentiis. Il suo ingaggio, innanzitutto. Il suo staff extralarge. E soprattutto le sue condizioni: il Napoli affidato a lui a scatola chiusa. Nessuna interferenza né fisica né verbale. Ha di fatto ridotto Aurelio De Laurentiis a ospite in casa sua. Prima di lui non c’era riuscito nessuno. E scommettiamo che non accadrà più neanche dopo di lui. Anche il mercato, quello estivo, è stato ragguardevole: 150 milioni investiti a fronte di nessuna cessione. Altra novità probabilmente irripetibile nell’era di Adl.
Conte un martello con la squadra. E il Napoli è andato oltre i limiti - E poi la specialità della casa. Lavoro. Lavoro. Lavoro. Nella sua testa siamo certi che pensasse allo scudetto sin dal primo giorno. Ha martellato col ritornello del decimo posto e dei quarantuno punti di distacco dall’Inter campione d’Italia. Così come ha più volte sottolineato che l’obiettivo era il ritorno in Europa, nemmeno dalla porta principale. Ai primi malumori della piazza, lo fece persino ribadire a De Laurentiis in un tweet. Ma sapeva dove sarebbe potuto arrivare con un gruppo certamente risicato ma unito e che soprattutto aveva nel Dna la reminiscenza della vittoria. Nello scudetto napoletano di Conte però c’è anche tanto di nuovo. Il tecnico ha smentito sul campo tanti suoi detrattori che lo hanno sempre accusato di integralismo tattico. Non se lo sarebbe potuto permettere. Ha convissuto l’intera stagione con l’emergenza. Sia per gli infortuni: basti pensare che Buongiorno ha giocato la metà delle partite. Sia per la partenza di Kvaratskhelia a gennaio. Ha più volte montato e smontato la sua creatura. Difesa a tre. Difesa a quattro. Doppio play. Quattro-tre-tre. Oppure quattro-quattro-due con Raspadori sottopunta al fianco di Lukaku. Spinazzola esterno d’attacco. Olivera difensore centrale. Il suo è stato un laboratorio creativo. Non si è mai perso d’animo. Sì, qualche frecciata alla Conte l’ha lanciata. Ma tutto sommato poca roba rispetto alle abitudini. Gli va riconosciuto che per portare il Napoli oltre i propri limiti, ha dovuto per primo lui andare oltre sé stesso. Ha permeato il gruppo della sua forza mentale. Ha trainato il Napoli verso un successo che ness uno avrebbe mai pronosticato se la stessa rosa fosse stata affidata a qualsiasi altro allenatore. È una delle vittorie più contiane della sua carriera. Che alimenta ulteriormente il mito. Che poi sia stato un miracolo o no, è del tutto irrilevante. È roba da dibattito. Quel che è indiscutibile, invece, è che solo lui poteva riuscire nell’impresa di far passare il Napoli direttamente dalla terapia intensiva al trionfo.
Napoli, le clip tricolori: svolta a Bergamo e poi finale da brividi Gazzetta.it.
1 di 9: Sempre sotto controllo
Un campionato è fatto di porte girevoli, di episodi che possono volgere in un senso o nell’altro. Potremmo evocare la fortuna, ma la fortuna bisogna cercarla, stanarla, circuirla. Potremmo chiamarli attimi (s)fuggenti, palloni che per una questione di millimetri entrano in rete o finiscono preda delle dita di un portiere, il caso in purezza. Il Napoli non ha vinto lo scudetto perché i pianeti si sono allineati o perché il destino gli ha messo una mano benevola sul capo. Il Napoli si è costruito la sua vittoria giorno dopo giorno, tra picchi e ribassi, senza mai perdere il controllo. Qui abbiamo riportato in superficie otto momenti a nostro parere decisivi, non tutti positivi, perché le vittorie si costruiscono nelle difficoltà. Antonio Conte è un maestro del genere, sa come declinare la sofferenza e renderla un carburante per se stesso e per i giocatori. Le squadre di Conte non sbracano mai. La partenza del Napoli 2024-25 è stata falsa, una sconfitta per 3-0 che lasciava presagire il peggio, ma era soltanto la prima giornata, la più ingannevole delle 38. Se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera, vale il contrario, chi male inizia ha tutto il tempo per riprendersi e risalire. La tenacia è stata la cifra del Napoli del quarto scudetto. Due anni fa, nel 2022-23, il Napoli di Luciano Spalletti aveva preso il largo tra l’autunno e l’inverno, e in prossimità della primavera non c’erano dubbi che ce l’avrebbe fatta. Spalletti però è un allenatore estremo, da tutto o niente, è passato dai fasti di Napoli all’Europeo sbagliato con la Nazionale. Conte è più lineare e il suo Napoli ne è la dimostrazione. Non ha mai ceduto, è sempre rimasto aggrappato alla classifica, all’idea che l’utopia fosse possibile, e ha riportato il Napoli davanti
2 di 9:Verona-Napoli 3-0 Mai fidarsi del calcio d’agosto, che siano trofei amichevoli o partite vere. Verona, 18 agosto 2024, prima giornata di campionato: il Napoli perde per 3-0 contro l’Hellas, gol di Livramento e doppietta di Mosquera, giocatori di belle speranze, però ignoti alle masse. Mosquera chi? Ma si può? C’erano stati segnali, la qualificazione sofferta in Coppa Italia ai rigori contro il Modena. Antonio Conte è livido: "C’è da vergognarsi e chiedere scusa. Mi prendo le mie responsabilità. Pochissime volte, nella mia carriera, ho vissuto serate del genere. Oggi il mio cuore sanguina". È un Napoli in costruzione e in transizione. C’è ancora Osimhen, ma non è impiegabile per le divergenze con la società, e non c’è ancora Lukaku, in arrivo, dietro l’angolo. A Verona l’onere della prova da centravanti tocca a Giovanni Simeone, che per il resto della stagione farà panchina. Lo shock di Verona sblocca l’arrivo di Neres, ingaggiato nella consapevolezza che Kvaratskhelia presto o tardi ne se andrà. È una sconfitta che stordisce e che però diventa salutare perché costringe il presidente De Laurentiis ad accelerare sulle questioni di mercato in sospeso.
3 di 9: Napoli-Bologna 3-0
Ed è subito riscatto. Napoli, 25 agosto, una settimana dopo la batosta. Al Maradona arriva il Bologna, avversario tosto, fresco di quinto posto e di qualificazione alla Champions League. Non è una partita da dentro o fuori, non può esserlo alla seconda giornata, ma Antonio Conte ha bisogno di una risposta, la deve a se stesso e alla gente del Napoli. E la squadra risponde come meglio non potrebbe, con il risultato speculare alla catastrofe della settimana prima: 3-0, con reti di Di Lorenzo, Kvaratskhelia e Simeone. Conte è sollevato: "Era importante reagire allo schiaffo di Verona". E poi ll mantra contiano, il postulato cardine del contismo: "In settimana abbiamo capito che dobbiamo essere un corpo unico, perché, se ragioniamo da singoli, non andiamo da nessuna parte". Il noi che deve prevalere sull’io, un grande classico. Aiutati che il presidente ti aiuta: è arrivato Neres, il giorno dopo viene ufficializzato Lukaku e il giorno 30 c’è l’annuncio dell’acquisto di Scott McTominay, scozzese che sul momento non scalda i cuori più di tanto perché si pensa che il suo ambientamento a Napoli sia un’incognita. I dubbiosi su McTom si dovranno ricredere con una giravolta a 360 gradi. Il 3-0 al Bologna e quel che accade nei giorni successivi sono le fondamenta dello scudetto.
4 di 9: Juve-Napoli 0-0
È il 22 settembre, principio d’autunno. Antonio Conte ritorna da avversario nel suo vecchio stadio, anzi Stadium:
5 di 9: Milan-Napoli 0-2
6 di 9: Atalanta-Napoli 2-3
Sabato 18 gennaio, il Napoli si toglie un peso, si scrolla di dosso l’ansia Atalanta, forse l’avversario
7 di 9: Napoli-Juve 2-1
La Juve è sempre la Juve, dalle parti di Fuorigrotta, e batterla vale doppio, se non triplo.
8 di 9: Napoli-Inter 1-1
Primo marzo, aria di primavera. Napoli-Inter, la partitissima. La situazione è cambiata, Inter 9 di 9: Monza-Napoli 0-1
Sabato 19 aprile, vigilia di Pasqua: Monza-Napoli. In apparenza una partita facilissima, il Monza è di fatto retrocesso in Serie B. Nella realtà, il match si complica, diventa pastoso, non si schioda dallo 0-0. Anzi, il Monza gode pure di un’occasione nitida per un vantaggio che sarebbe stato clamoroso. Finché Conte, nella ripresa, sblocca la situazione: fa entrare Raspadori e l’azzurro tenue del primo tempo vira in azzurro nitido. Raspadori crossa da sinistra, McTominay irrompe di testa e, complice l’uscita sbagliata del portiere Turati, segna la rete di una vittoria cruciale. Perché il giorno successivo, domenica di Pasqua, l’Inter cade a Bologna, trafitta da Orsolini a un secondo dal triplice fischio, e il Napoli può festeggiare l’aggancio in cima alla classifica. Conte ne approfitta per spedire un messaggio alla società: «Chi prende Conte deve lottare per vincere lo scudetto, non basta la qualificazione Champions. Questo pubblico mi emoziona, ma avverto tantissima responsabilità. Vorrei ripagare la gente con grandi vittorie». Il sorpasso si completa la settimana successiva: l’Inter cade a San Siro contro la Roma e il Napoli batte il Torino per 2-0. Lo scudetto diventa una questione di tempo.
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